Una piccola buona azione

15 giu

Ogni anno “Alma Laurea”, un servizio nato dall’Osservatorio Statistico dell’Università di Bologna, fornisce un gran numero di interessanti e aggiornati dati statistici sui laureati che formano i nostri atenei, il campione è piuttosto rappresentativo perché copre il 78% dei neolaureati. E c’è un dato su cui vorrei fare delle riflessioni: il voto di laurea.

Il voto di laurea medio dei neolaureati nel 2011 è stato 107.9, dal 2005 al 2011 ha avuto qualche lieve oscillazione mantenendosi comunque tra 106.1 e 109.3. Il voto massimo è 110 e lode, conteggiato ai fini del calcolo della media come 113. I laureati delle facoltà del gruppo letterario hanno avuto una media di 110.7, ovvero il voto medio è più alto del voto massimo nominale! E’ evidente il problema: se le votazioni sono tutte schiacciate verso il voto massimo, perde di significato il voto stesso. Sembrerebbe una questione non così grave, che male c’è a dare un voto un po’ più alto a chi forse non se lo merita? In fondo si tratta solo di un po’ d’incoraggiamento, una piccola buona azione. E invece, noi professori stiamo facendo un grave torto agli stessi studenti e alle nuove generazioni: impediamo all’università di funzionare da ascensore sociale.

Vediamo perché. Con quali criteri le aziende selezionano i propri candidati? In un mondo perfetto il merito. Nel mondo reale il merito, le conoscenze personali, la famiglia di provenienze, la simpatia, la fortuna… e molte altre cose ancora. La maggior parte delle aziende non può permettersi complesse procedure di selezioni con prove tecniche e attitudinale e il voto di laurea è inevitabilmente il principale criterio per valutare il merito, ma se questo è così schiacciato verso il massimo, perde di significato e di fatto chi seleziona il personale non ha più un criterio oggettivo per il merito. L’ovvia conseguenza è che gli altri criteri (le conoscenze personali, la famiglia di provenienza, la simpatia, la fortuna..)  assumono un maggior peso. In particolare le conoscenze personali. Ma chi ha le migliori conoscenze personali? Chi già proviene da una famiglia legata a quel posto di lavoro. Risultato: i figli degli avvocati fanno gli avvocati, i figli dei commercialisti fanno i commercialisti eccetera. E l’università finisce con non essere più un mezzo di promozione sociale per coloro che hanno capacità e talento, ma non buone conoscenze. Quella che sembra una piccola buona azione (dare un voto un po’ più alto a chi non lo merita, magari per incoraggiarlo) produce un grande danno alla società nel suo complesso.

1 COMMENTO A “Una piccola buona azione”

  1. Bernardo Migliavada 5 luglio 2012 alle 16:57

    complimenti per il libro. la storia non ha un ritmo da vero thriller, e la scrittura ha un che di dilettantesco, però il tentativo di far dialogare i linguaggi di letteratura e scienza è nuovo, vale la pena di essere approfondito. saluti

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