Effetto marmellata

27 giu

L’università italiana non fa mai una gran figura nelle classifiche internazionali. Non saremo il paese più avanzato del mondo, ma non è possibile ritrovarsi sempre al livello della Romania e del Ruanda! Ci sarà una ragione. E in effetti c’è: “l’effetto marmellata”.

Nei nostri atenei convivono fianco a fianco, spesso nello stesso corridoio, laboratori che pubblicano sulle migliori riviste internazionali e laboratori che si occupano, quando se ne occupano, di argomenti del tutto insignificanti. Ci sono docenti appassionati e motivanti a fianco di deprimenti assenteisti. Il tutto in un’unica marmellata, dove è del tutto impossibile distinguere l’uno dall’altro. Difficilmente un professore sa bene cosa fa il collega, se non per vaghe e inaffidabili voci di corridoio. Non c’è nessuna “etichetta” che distingue il bravo e produttivo docente dallo scansafatiche, il corso appassionante dalla noia mortale. E’ questo il peccato capitale della nostra università. I nostri atenei non riescono a scalare le classifiche mondiali perché l’effetto marmellata fa sì che il loro punteggio sia sempre una media tra prestazioni individuali molto diverse e quindi inevitabilmente un punteggio mediocre. Gli studenti bravi non hanno modo di scegliere i corsi migliori (se non per il solito inaffidabile e spesso tendenzioso passa parola), ma sono costretti a sorbirsi in modo del tutto casuale ottimi e pessimi corsi. Questo a ben vedere ha anche un risvolto non del tutto negativo: il livello medio della preparazione dei nostri studenti non è mai altissima, ma neanche bassissima (qualche bravo professore statisticamente capita). Però nel complesso è un dramma. Abbiamo strenuo bisogno di bravi studenti e eccellenti laboratori, ma non riusciamo a trovarli in mezzo alla melassa indistinta della nostra università.

E quale potrebbe essere la soluzione?

La più semplice è quella che sta timidamente facendo capolino nell’ultima riforma dell’università: creare un meccanismo economicamente premiante per gli atenei che hanno migliori performance. L’idea è creare una sorta di “mercato” e sperare nella cosiddetta “mano invisibile”. I migliori prospereranno i peggiori periranno. Non è un’idea assurda e potrà anche portare dei benefici nel lungo termine ma ha un fondamentale problema: ignora totalmente la struttura a marmellata della nostra università. Il risultato potrebbe essere (e lo sarà quasi certamente) che l’ateneo xxx complessivamente mediocre sarà penalizzato rispetto all’ateneo yyy un po’ meno mediocre, ma per l’effetto marmellata nell’ateneo xxx ci potrebbe essere uno straordinario centro d’eccellenza totalmente nascosto dalla statistica. Si potrebbe pensare di risolvere questo problema premiando i dipartimenti (che sono delle suddivisioni interne degli atenei) piuttosto che globalmente gli atenei, ma a parte problemi formali e burocratici (i dipartimenti attualmente non possono gestirsi autonomamente) rimane il fatto che anche i singoli dipartimenti sono marmellate e il problema di ripropone pari pari. A ben vedere, per qualche mistero che ha probabilmente a che fare con la stratificazione e la contraddittorietà delle varie riforme che si sono succedute, la struttura a marmellata della nostra università si ripropone a  qualunque livello di scala (è matematicamente un frattale!)

E quindi?

Ci vorrebbe un modo naturale, in grado di auto sostenersi, per separare i pezzettini di frutta fresca dalla melassa indistinta della marmellata. Una sorta di catalizzatore naurale.

Guarda caso in Italia esiste già un modello che negli anni ha fatto e continua a fare proprio questo: la Scuola Normale di Pisa (e, più recentemente, la Scuola Santa Anna). In origine era solo un collegio per gli studenti dell’università di Pisa, ma poiché i posti erano pochi, si pensò di far eccedere rigorosamente solo i migliori con inflessibili criteri di merito (una cosa banale, ma rivoluzionaria in Italia!). Il risultato è stato che sebbene gli studenti della Normale seguano i corsi dell’università di Pisa e la Normale non rilasci alcun titolo legale, questo semplice meccanismo di selezione/riconoscimento del merito ha finito per coagulare intorno a sé i migliori studenti. Questi, con il tempo, sono diventati straordinari ricercatori e professori che hanno creato laboratori di eccellenza e ricerca di avanguardia. Insomma la sola istituzione di un “bollino di qualità” ha creato negli anni un meccanismo naturale per separare l’eccellenza dalla melassa, senza l’intervento di chissà quale elaborata normativa ministeriale. Forse qualcosa del genere, visto che ha funzionato così bene, potrebbe essere riprodotto in molti altri atenei. In fondo tutte le università distribuiscono un certo numero di borse, basterebbe alcune di queste darle rigorosamente per merito e costruire intorno a questi studenti le condizioni per cui possano semplicemente esprimere il proprio talento. Non ci vuole tanto: all’inizio solo una residenza universitaria tranquilla e magari un paio di lavagne qua e là per i corridoi (sono stato recentemente alla Normale e ho notato due studenti che discutevano animatamente su una lavagna, immagino che riflettessero su importanti argomenti scientifici anche se non sono del tutto sicuro che non stessero giocando a filetto…)

7 COMMENTI A “Effetto marmellata”

  1. Giacomo Dabisias 27 giugno 2012 alle 13:33

    Si il tutto pare vero, ma manca la cosa più importante…la voglia degli studenti di aprire la loro bocca e dire cosa non va bene. Anche se molte cose non funzionano in modo palese, gli studenti non si sentono di poter criticare i professori. Inoltre manca ancora totalmente la possibilità di licenziare un professore e quindi questo induce a una sedentarietà e una nullafacenza (non parlo ovviamente di tutti i professori). Io credo che non vi siano grandi soluzioni, è la mentalità italiana che porta a queste cose e sarà molto difficile sradicare questo fatto.

    • Massimiliano Pieraccini 27 giugno 2012 alle 14:55

      Io almeno uno studente che non sta mai zitto su ciò che pensa che non funzioni lo conosco. Mi hai fatto morbido per un anno! E guarda caso ora sei alla Santa Anna…

  2. Carlo Atzeni 27 giugno 2012 alle 19:10

    E’ una diagnosi perfetta, ma esiste un altro banale elemento che non è stato considerato: l’Università di oggi è una scuola di massa ed ha richiamato insegnanti di massa. Non è un caso che i professori di una volta ( con i loro Istituti monocattedra )siano ricordati quasi tutti come eccellenti Maestri. La riforma del 3+2 e la relativa legge hanno peggiorato ulteriormente la situazione. E allora ? Ecco arrivare le Università private, il numero chiuso, gli istituti speciali, gli istituti europei…Si tenta cioè di ricreare situazioni di dimensioni controllabili, dove il merito possa emergere, sia tra gli studenti che tra i professori.

  3. Filippo Brizzi 27 giugno 2012 alle 23:02

    Il problema è che l’università deve poter soddisfare la massa. Quello che dice lei mi sembra giustissimo solo che non prende in conto che non c’è bisogno solo di geni e che tutti hanno diritto alla laurea.

    • Massimiliano Pieraccini 28 giugno 2012 alle 00:17

      In realtà l’accoppiata università + collegio selettivo mi pare una buona soluzione proprio per salvare capre e cavoli. Tutti (entro certi limiti, ovviamente) possono frequentare l’università, ma se vuoi anche il “bollino di qualità” (oltre a tutti gli altri benefit “materiali” del collegio) te lo devi guadagnare.

  4. Bernardo Migliavada 5 luglio 2012 alle 17:00

    dare colpa agli studenti mi sembra facile ma poco sensato. l’università inizia in famiglia ed è lì che dovremmo tutti insegnare non soltanto l’importanza dello studio ma anche la disciplina, il metodo, la serietà come meta da inseguire e non come una caratteristica dei soli secchioni. scusate la semplicità del commento, ma credo sia importante partire dalla base se vogliamo credere in un (improbabile) rinnovamento culturale. altro che crisi, siamo nel baratro.

    • Massimiliano Pieraccini 5 luglio 2012 alle 17:35

      Nessuno ha dato colpa agli studenti nei commenti di questo post. Anzi…

LASCIA IL TUO COMMENTO