Nel sentire comune (e nella pubblicità) i termini “naturale” e “salutare” sono praticamente sinonimi. Ciò che è naturale non può che farci bene. Un medicinale all’ortica farà sicuramente meglio di un antidiarreico di sintesi, il chicco di grano coltivato senza pesticidi e macinato con il suo guscio farà senz’altro meglio del grano prodotto industrialmente e così via. Ma perché? A logica si direbbe il contrario. La pianta dell’ortica non ha certo alcun interesse a essere colta per regolare il nostro intestino, anzi fa di tutto per non essere colta provocando delle dolorose piaghe nelle nostre mani. E, ugualmente, il guscio del chicco non serve certo per favorirci l’assorbimento di certe sostanze nutritive, semmai al contrario è lì per proteggere il seme dalle intemperie e dai predatori, tra cui noi A ben vedere, lo scopo principale di tutti gli organismi viventi è proteggersi in ogni modo. Senza esclusioni di colpi. Una pianta farà di tutto per non essere appettibile fino a produrre terribilli veleni. Gli animali scappano o mordono. E, in effetti, se riflettiamo ci accorgiamo che la gran parte della biomassa non è edibile: non magiamo l’erba, né gli alberi, la maggior parte degli animali per quanto li vogliate cuninare sono disgustosi. La frazione di biomassa che ci è realmente “amica” è infinitesima e – guarda caso – ben poco naturale. Ci piace il grano, una pianta selezionata e modificata dall’uomo da millenni. Mangiamo belle mele succose, al cui paragone la versione originaria non modificata dall’uomo pare una caricatura. Ciò che intendiamo per cibi (o rimedi) naturali non è genericamente tutto ciò che viene dalla natura (che di norma non ci è certo amichevole) ma una porzione ben selezionata, identificata da secoli e millenni di prove ed errori e per di più questa piccola porzione è stata intenzionalemente oggetto di continue piccole modifiche per renderla più adatta alle nostre esigenze.
Ma, se questo è vero, perché tendiamo a fidarci più di ciò che è naturale da di ciò che ci appare artificiale? Certo non ci entusiasma una pubblicità che millanta l’uso massiccio di antibiotici per l’allevamento del manzo di cui vorremmo mangiare la bistecca. Non mangiamo volentieri verdure da coltivazioni idroponiche (o meglio: le magiamo, ma preferiamo non sapere da dove vengono). Insomma perché questa diffusa diffidenza in ciò che è “artificiale”? La risposta è che nessuno vuole fare da cavia. E’ un po’ come quando esce un nuovo modello di smartphone: comprarlo per primo non è mai una buona idea, è facile prendere una fregatura. Il tempo selezionerà solo i modelli migliori e di questi gli inevitabili difetti verranno corretti. La stessa cosa vale per tutte le tecnologie. L’agricoltura, la cucina, la medicina, sono a tutti gli effetti tecnologie. Abbiamo fiducia nei cibi “naturali” non perché abbiano nulla a che fare con la natura, ma perché sono il prodotto di tecnologie consolidate, così collaudate e consuete da apparirci “naturali”.
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